SANT’ARSENIO IL GRANDE
Nato il 350 circa, Roma
Morto il 450, Scete, Egitto
Bianco con candida e lunga barba, alto di statura, nobilissimo d’aspetto, questo era Sant’Arsenio a novantacinque anni, dopo più di mezzo secolo di vita nel deserto più arido e desolato, quello dello Scete, in Egitto.
Il nobile incedere gli veniva dall’essere romano, di famiglia senatoriale. Nel Palazzo imperiale aveva ricoperto cariche assai alte, e sembra addirittura che Teodosio l’avesse scelto come precettore dei propri figli, Arcadio e Onorio, che si divisero poi l’Impero paterno. Quando Roma fu conquistata dal Re barbaro Alarico; quando l’Impero costruito dai Cesari cominciò a crollare, Arsenio comprese come la sua opera nel mondo fosse inutile. Si sentì chiamato verso un nuovo Impero, che non avrebbe temuto le orde dei barbari. Una voce gli disse: «Fuggi gli uomini, e ti salverai!». Fuggiti gli uomini, Arsenio condusse, nel deserto egiziano, una vita di continua preghiera, quasi sopprimendo il sonno. Al tramonto, volgeva le spalle al sole calante e per tutta la notte, con gli occhi fissi al levante, aspettava l’aurora del nuovo giorno. Soltanto allora, per brevissimo tempo, si assopiva.
Pregava e piangeva, con gli occhi senza più ciglia, per le lacrime e per lo sforzo di non dormire. Pregava per l’Impero caduto, ma anche di più piangeva sull’infelicità del mondo, sulla sorte di tanti infelici, sul sacrificio divino, dimenticato e negletto dagli uomini.
«Beato te, abate Arsenio, disse di lui un altro eremita. Tu ti sei pianto in questa vita! Chi non si piange in questa vita, piange eternamente nell’altra».
Il pianto di Sant’Arsenio fu assai lungo: durò per 53 anni, prima del giorno in cui passò, con la morte, alla gioia dell’altra vita. La sua esistenza era stata l’adempimento di una preghiera che si legge ancora nel Messale, e che chiede proprio il dono delle lacrime, quelle lacrime che la maggioranza degli uomini vorrebbero evitare, perché espressione di sofferenza. Dice: «Dio onnipotente e pieno di dolcezza, che in favore del popolo assetato facesti zampillare dalla roccia una fonte d’acqua viva, estrai dal nostro cuore di pietra le lacrime della compunzione, affinché possiamo piangere i nostri peccati, meritando così di esserne perdonati nella Tua misericordia».
IL COMMENTO DI RAGGIO DI LUCE ATTIVA
MARTIROLOGIO ROMANO
Presso il monte Scete in Egitto, sant’Arsenio, che fu, secondo la tradizione, diacono della Chiesa di Roma; ritiratosi a vita solitaria al tempo dell’imperatore Teodosio, pieno di ogni virtù rese lo spirito a Dio.
FONDAMENTO BIBLICO DEL CULTO DEI SANTI
Il culto dei Santi, degli Angeli e della Vergine Maria è stato da sempre un elemento caratterizzante del Cattolicesimo Romano e delle Chiese Orientali, ma anche quello più contestato dalle comunità evangeliche e dalle sette d’ispirazione cristiana.
Ancora più osteggiata è la venerazione di statue ed Icone Sacre, assimilata addirittura all’idolatria e perciò condannata come un grave peccato.
In realtà le cose non stanno affatto così.
Nell’Antico Testamento, statue ed immagini sono strettamente collegate all’adorazione di divinità in Gran parte straniere, che si oppongono al culto dell’Unico vero Dio.
Presso Noi Cattolici, invece, queste assumono tutt’altro significato per due motivi.
Il Primo è che le nostre statue non sono idoli pagani, ma Raffigurano Persone Realmente Esistite, che Ricordiamo come Modelli di Fede
Il Secondo è che la nostra non è Adorazione, bensì VENERAZIONE, ossia Rispetto Verso quei Santi e quelle Sante che stanno nella Gloria di Dio, in Paradiso, e ossequio verso le immagini che li rappresentano.
Ai tempi di Mosè, due Cherubini in oro battuto decoravano l’Arca dell’Alleanza, in cui erano custodite le Tavole della Legge (Esodo 25,18; 36,2-8; 37,7). Era idolatria questa? Certamente no! Mosè stesso fece costruire un serpente di bronzo e ordinò di porlo in vista al popolo; chiunque fosse stato morsicato dai serpenti velenosi, si sarebbe potuto salvare guardando verso di esso (Numeri 21,4-9).
Gesù applicò a se stesso questo simbolo dicendo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna» Vangelo di San Giovanni Apostolo 3:14-15
La VENERAZIONE d’immagini, dunque, non è idolatria quando questa non si sostituisce all’adorazione.
Esistono tre diverse forme di culto:
la LATRIA, ossia l’Adorazione, riservata esclusivamente a Dio;
la DULIA, ossia la venerazione, riservata ai Santi e agli Angeli;
l’IPERDULIA, una speciale forma di venerazione riservata esclusivamente alla Vergine Maria, Madre del nostro Salvatore Gesù Cristo.
Per quanto riguarda il fondamento biblico relativo al culto dei santi, esistono numerosi passi che lo giustificano. Innanzitutto, nel Nuovo Testamento tutti i battezzati sono chiamati santi, non perché dotati di eccezionali virtù, ma in quanto chiamati a percorre un cammino di perfezione e di santità, dopo essere stati separati dal mondo e purificati dallo Spirito Santo.
Già nel libro del Siracide l’autore aveva scritto: “Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione. Questi furono uomini virtuosi, i cui meriti non vanno dimenticati” Libro della Siracide 44, 1 e 10
Nella Lettera agli Ebrei l’autore esalta gli illustri israeliti del passato e sprona i destinatari dell’epistola a comportarsi allo stesso modo Ebrei 11-12
San Paolo diceva ai Fedeli di Corinto: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1 Corinzi 11,1).
Proprio in questo consiste, dunque, la Venerazione dei Santi: nel Ricordo, nell’Elogio, nell’Imitazione di Coloro che ci hanno Preceduto nella Fede e si Sono Distinti nella Pratica delle Virtù.
In merito alla loro commemorazione, sappiamo che già del Protomartire Stefano si ricordava l’anniversario della morte e s’Invocava la Sua Intercessione.
Ma il primo Esempio storicamente documentato è il Martirio di San Policarpo (155 d.C), di cui furono raccolte le reliquie e celebrato annualmente il suo martirio “per rievocare la memoria di coloro che hanno combattuto prima di noi e per tenere esercitati e pronti quelli che dovranno affrontare la lotta”.
Concludiamo, infine, con l’intercessione dei Santi, particolarmente contestata dai Protestanti e dalle sette cristiane. A loro avviso, essendo Gesù Cristo il solo mediatore fra Dio e gli uomini, sarebbe sbagliato pregare i Santi e chiedere la loro intercessione. In realtà non è affatto così, in quanto il loro intervento non sostituisce l’unica mediazione di Cristo. Nel miracolo di Cana, ad esempio, la Vergine Maria interviene presso il Figlio a favore degli sposi, che non hanno più vino dal Vangelo di San Giovanni Apostolo 2, 1-11
San Giacomo, inoltre, afferma che molto vale la preghiera del giusto se fatta con insistenza dalla Lettera di San Giacomo Apostoli 5,16
e San Paolo esorta spesso i fedeli a pregare Dio per lui e per gli altri fratelli. Ma cos’è tutto ciò se non una preghiera d’intercessione? Considerando, dunque, che la Comunione dei Santi, ossia il mutuo e vicendevole aiuto fra i battezzati, non finisce con la morte fisica, ma continua anche dopo la vita terrena, allora possiamo affermare con assoluta certezza che pregare i Santi non solo è biblicamente fondato, ma è anche un segno del vincolo d’Amore che esiste fra di noi e che ci unisce a Cristo in questa nostra vita e in quella prossima futura.